La Missione Archeologica nel Jebel Zawa, Regione del Kurdistan iracheno

Conati Barbaro Cecilia, Sapienza Università di Roma

Il progetto della Sapienza nel Jebel Zawa nasce nel 2022 con lo scopo di esplorare un’area particolarmente ricca di importanti testimonianze archeologiche relative alle fasi preistoriche e protostoriche.

Il Jebel Zawa è una montagna dai volti contrastanti: il lato nord si affaccia sulla città di Dohuk e presenta fianchi molto ripidi. Qui si trovano i famosi rilievi di Maltai e sulla cima, raggiungibile con la funivia, vi sono parchi di divertimento. Il versante sud ha brevi valli incise da wadi, popolate da fauna selvatica e con una vegetazione rigogliosa, soprattutto in corrispondenza di sorgenti.

Dal punto di vista geologico, è costituita dalla formazione Pila Spi, che contiene spessi strati calcarei ricchi di noduli di selce di ottima qualità. La selce è una roccia sedimentaria, molto dura e compatta. Grazie a queste caratteristiche e alla buona lavorabilità, è stata una delle materie prime litiche più utilizzate per la realizzazione di manufatti fino all’epoca storica. 

Il millenario popolamento del Jebel è legato alla ricchezza di risorse naturali: acqua, selce, e un tempo anche il legno.

Gruppi neandertaliani, intorno a 60000 anni fa, frequentavano già l’area, come indicano gli strumenti in selce rinvenuti sulla sommità della montagna e in un grande riparo nella valle di Gali Kahni (sito 1022).

La scoperta senz’altro più rilevante è quella delle miniere di selce e delle aree di lavorazione connesse, che risalgono al IV-III millennio a.C. I ripidi pendii delle valli centrali del Jebel sono costellati di cunicoli, in origine scavati dall’acqua, che gli antichi minatori hanno ampliato per estrarre i blocchi di selce dai quali ricavavano lame di grandi dimensioni Si tratta di manufatti attestati in diversi siti del Mediterraneo orientale e dell’Asia sud-occidentale, la cui fabbricazione necessitava di specifiche attrezzature, abilità tecniche specializzate e adeguate materie prime non disponibili ovunque. Le lame erano utilizzate nelle lavorazioni agricole e artigianali.

Grazie alla perlustrazione sistematica delle valli del Jebel, abbiamo potuto ricostruire l’organizzazione dell’attività mineraria. Le cave a cielo aperto si riconoscono dalla presenza di nicchie realizzate per l’estrazione dei noduli di selce, mentre nei cunicoli naturali scavati dall’acqua i minatori, creavano ampie camere, lasciando, dove necessario, pilastri di roccia per sostenere il soffitto. All’interno delle gallerie minerarie si possono ancora oggi trovare noduli di selce abbandonati sul terreno e lungo le pareti sono visibili moltissime tracce di strumenti da scavo, molto spesso in corrispondenza dei noduli da estrarre. I blocchi estratti venivano selezionati e sbozzati già in prossimità delle zone estrattive; successivamente venivano lavorati in vere e proprie officine artigianali nelle quali si fabbricavano le grandi lame. Abbiamo identificato alcuni di questi siti specializzati sul Jebel stesso (sito 980) o nei villaggi della pianura a poca distanza, nei siti 48 e 50, scoperte che confermano la stretta relazione tra gli abitati e le attività minerarie. L’organizzazione del lavoro all’interno di questo importante e unico distretto minerario sarà chiarita dai futuri scavi, che consentiranno anche di inquadrare il fenomeno in una puntuale griglia cronologica.

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